sabato 21 novembre 2015

La risposta della guerra

di Laura Puppato • Certo che il pensiero va ugualmente a Beirut, ai passeggeri dell’Airbus russo abbattuto nel Sinai, a Siriani e Iracheni, a quanti subiscono i drammi del fondamentalismo nel mondo; e non solo; a tutti coloro che subiscono i conflitti di ogni genere [e ci vorrei includere chi resta travolto, innocente, nel conflitto più ampio della predazione contro la Terra]. 

È chiaro, però, che l’attentato di Parigi ci tocca direttamente e da vicino in modo particolare: per la stretta vicinanza geografica e culturale e anche per l'impatto delle conseguenze dal punto di vista politico e militare. E dobbiamo chiederci che sta succedendo davvero, cosa possiamo fare.
Le borse europee sono trainate dai titoli che hanno a che fare con la difesa. I mercati scommettono su un’imminente guerra di larga scala e i presupposti ci sono tutti. La risposta muscolare della Francia è umanamente comprensibile, ma dobbiamo chiederci se sia davvero questa la via migliore da seguire. Trovo che Renzi abbia fatto bene a usare parole caute. L’Italia deve stare accanto alla Francia, ma dobbiamo imparare dagli errori già commessi muovendo guerre in Afghanistan, in Iraq e in Libia. La guerra porta ad altra guerra. Ciò non vuol dire escludere l’aspetto militare, ma bisogna soprattutto colmare la lacuna di una strategia politica, un progetto sul Medio Oriente che coinvolga le popolazioni che lo abitano.
E forse anche dedicarsi, seriamente, a un progetto di amicizia fra le diverse etnie che popolano ormai il mondo occidentale. Perché esiste un ISIS geografico (localizzabile anche in diverse aree del mondo e sotto diverse etichette, quali Boko Haram in Nigeria o al-Shabaab in Somalia), ma ancora più pericoloso è l’ISIS ideologico, e il suo dilagare in tutto il mondo occidentale. L’ISIS vuole terrorizzare l'Europa da un lato e farvi adepti dall'altro: e per farlo parla soprattutto ai giovani europei di fede mussulmana. Sono ragazzi nati qui, ma che qui non vi hanno trovato un ambiente capace di comunità, e di offrire loro prospettive. La loro rabbia viene incanalata dalla propaganda fondamentalista verso un nemico, e quel nemico è la terra stessa che li ospita. Su questo è vitale riflettere. È necessario capire perché dei ragazzi giovanissimi, nati e cresciuti in Europa, decidano di ammazzare i loro coetanei, per rincorrere un'idea feroce e (ai nostri occhi) lontana.
Ciò che è successo in Francia può accadere anche da noi, non possiamo escluderlo. Con la doverosa evidenza che le nostre forze dell'ordine e l'intelligence hanno da molto più tempo esperienza nell’analizzare e affrontare mafie e terrorismi. Il flusso migratorio che si riversa nel nostro paese non è di per sé un presupposto di pericolo, ma può diventarlo se non si adotta una strategia di accoglienza diffusa e capace di vera integrazione degli immigrati e dei rifugiati. Il pericolo più serio, infatti, non è che arrivino terroristi tra i migranti, ma che una volta arrivate qui, trovando ghetti e barriere sociali, persone disperate finiscano nella rete di chi fa proselitismo estremista. Abbiamo bisogno di più unità, come bene dice questo ragazzo musulmano:

Concludo con un pensiero a Valeria Solesin che, come ha detto la sua mamma, “mancherà a noi e all’Italia”. Nei giorni più dolorosi, dalla sua famiglia non è giunta una sola parola di odio o di rabbia vendicativa. Considero questo valore vero, civile, sul campo. Con questo spirito non smettiamo di chiederci che fare e come farlo, ripudiando la guerra come strumento privilegiato di azione.

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